Sono passate ormai dieci ore da quando l'alba ha colorato di rosa lo sfondo dell'aeroporto di Berlino.
La sveglia è suonata presto. Fermata. Poi ripartita incessante. Oggi non si poteva dormire altri cinque minuti: c'era un volo da prendere.
Ora Berlino è già dietro le spalle con la sua densa storia, i suoi odori, la sua vitalità da adolescente, la sua voglia di cambiamento.
Nel mio bagaglio a mano l'una sopra l'altra: emozioni, immagini, la meraviglia, la malinconia per il rientro a casa.
Perché Berlino è «die Mauer».
Berlino è l'odore di fritto.
Berlino è il movimento continuo.
Berlino è il cantiere infinito. Perché c'è ancora molto da inventare. O da riscrivere.
Uno scrittore non dimentica mai la prima volta che accetta qualche moneta o un elogio in cambio di una storia. [...] perché a quel punto è già perduto e la sua anima ha ormai un prezzo. (Carlos Ruiz Zafón)
martedì 9 dicembre 2014
domenica 16 novembre 2014
"Non è che sono razzista, ma..."
Ideologia,
teoria e prassi politica e sociale fondata sull’arbitrario presupposto
dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente «superiori»,
destinate al comando, e di altre «inferiori», destinate alla sottomissione, e
intesa, con discriminazioni e persecuzioni contro di queste, e persino con il
genocidio, a conservare la «purezza» e ad assicurare il predominio assoluto
della pretesa razza superiore.
Ok, se questa è la definizione di
razzismo (ed è effettivamente la definizione tratta da un vocabolario) credo
che poche persone possano definirsi effettivamente razziste. E, francamente,
quelle poche non meritano una riga in più da parte del sottoscritto.
Eppure non può essere così semplice.
L’eco degli scontri di Tor Sapienza come di mille altri episodi amplificati,
urlati, sbraitati sugli organi di stampa non è ancora completamente cessato.
E mi viene da chiedermi se ci sia di
più.
domenica 12 ottobre 2014
La società dell' "Issimo"
Sono passati centinaia e centinaia di minuti dalla fine di Juventus-Roma (perdonatemelo, ma si tratta del mio personale “attentato di Sarajevo”: non ho intenzione di ammorbarvi ancora con lo sport) e uno si aspetterebbe che piano piano il fuoco si spegnesse. Le braci lasciassero spazio alla cenere.
Invece,
sono proseguiti strilli e strepiti, “era rigore non era rigore”, “era dentro
era fuori area”, finché un avvocato, professore universitario, ex sottosegretario,
persino, non ha dichiarato ad una trasmissione radiofonica qualcosa come “dopo
ieri viene voglia di prendere il mitra”.
E
poco importa che qualche minuto dopo abbia edulcorato il concetto in “mitra
figurato”. Ormai, come una carta messa in tavola durante una partita di scopa
quelle parole restano. Anzi, non solo restano, ma dimostrano come la nostra sia
la “società delle iperboli”. La “società dell’issimo”.
Tutto
è bellissimo. Straordinario. Incredibile. Pazzesco. Saltando a passo di canguro
il reale significato di tali termini. Abbandonando il non credibile o il fuori
dall’ordinario fino ad inventare nuove iperboli perché quelle esistenti non
bastano più. E allora via con le composizioni artistiche come eccezionalmente
straordinario (praticamente impossibile da realizzare?) o incredibilmente bello
(altro che Adone). Uno scarso attaccamento alla realtà, una verità adornata ai
limiti del barocco o imbruttita lambendo l’obbrobrio.
In
ogni caso siamo produttori di una verità stiracchiata, di qua o di là. Non credo
che in passato non accadesse (senza alcuna pretesa da storico o da filologo) altrimenti
non ci spiegheremmo le molte leggende in cui le caratteristiche dei personaggi
erano spesso assolutizzate. Semplificate oserei dire.
Il
dubbio, però, è che le leggende così come le iperboli si adattino perfettamente
(zac!) ad un popolo credulone, poco abituato ad esercitare lo spirito critico.
In
poche parole tutt’altro che “issimo”.
mercoledì 13 agosto 2014
Dove sei, Olimpia?
Due cazzotti ben
assestati. Stomaco e mento per mandarmi lungo disteso.
Le Olimpiadi hanno
sempre rappresentato per me lo zenit dello Sport. Quello vero. Il sogno del
bambino sublimato nell'evento che si gode l'adulto.
Non so dove o quando
sia nata la passione per le Olimpiadi. Di sicuro c'è lo zampino di una sorella
sportiva (dall'hockey su pista all'atletica) con la quale guardavamo ogni
singola gara (dai 100 metri alla scherma passando per il canottaggio). Merito
degli Abbagnale. Di Stefano Tilli. Di Marlene Ottey. Delle fiorettiste azzurre.
Degli atleti che, sfiniti, arrivano al traguardo staccati anche di mezze ore.
Perché le olimpiadi sono le Olimpiadi. Esserci, a volte, basta.
Eppure, immaginate
un negozio con vetrine perfette. Lucidate, spolverate e riempite di bicchieri,
porcellane, vetri di Murano… Improvvisamente entra un giocatore di bowling in
preda ad un raptus. E … BAM! Olimpia va in frantumi. Vetrine, tazzine. Tutto
rotto.
La sensazione è quella
di un deja-vu. Era già successo quando Sua Maestà Il Doping rase al suolo il
ciclismo. L’Appassionato tradito. Una, due, tre. Cento volte.
La boccia colpisce
così, su un giornale: Schwazer, medaglia d'oro "postuma" per
doping. Ovvero Alex Schwazer, (per chi non lo ricordasse un marciatore di Vipiteno)
a distanza di quattro anni dagli Europei di Barcellona vince la 20 km di marcia
perché il campione europeo, tale Stanislav Emelyanov, è stato spogliato della
medaglia d’oro dalla Iaaf (International Association of Athletics Federations) per irregolarità nel passaporto biologico.
Vedo mentalmente la
scena: presentazione degli atleti, inni nazionali, podio e l’ex vincitore che
restituisce la medaglia nelle mani di colui che lo aveva premiato. Bacio di
rito (forse per l’occasione sarebbe più adatto uno scappellotto).
Fin qui tutto bene,
no?
sabato 26 luglio 2014
Un Miserabile eBook
Ho sempre sofferto
una certa difficoltà nell'accettare gli ebook e nell'affrontare i
"Classici".
Ho sempre pensato
che un libro è un libro. Copertina (preferibilmente rigida), pagine che
frusciano quando le giri, odore di carta, polvere.
Ho sempre pensato,
grazie agli alibi suggeritimi da Nick Hornby e Daniel Pennac che, in fin dei
conti, potevo ignorare l'esistenza di grandi capolavori. Potevo perché sono un
lettore e in quanto tale ho dei diritti ("Come un romanzo") e potevo perché
non c'è nessun libro che ad una certa età si deve aver letto.
Mi sono arreso tra
gli altri a Siddartha, all’Ulisse di Joyce, a Guerra e Pace. Ho sconfitto, ma
con gravi perdite: I Buddenbrook e l’Idiota.
E già mi sentivo in colpa intravedendo (per precisa scelta ovvero
scappando a gran velocità) articoli intimidatori del tipo “25 Classici che
bisogna leggere nella vita”...
Fino a quando Ebook
(grazie papà) e Classici non si sono messi d'accordo per sovvertire le mie
abitudini da lettore.
Esattamente da quando
Victor Hugo, per pochi spicci (“I Miserabili”), ha preso in affitto il mio
comodino. In una strana copula tra modernità e classicismo sono a
rimettere tutto in discussione.
Così sono stato
trascinato a Waterloo con Thénardier o a Parigi con Cosette da un dispositivo
elettronico. Catapultato nel bel mezzo di una sommossa con nient’altro che un e-reader scarico.
Il futuro che fa visita al passato.
mercoledì 18 giugno 2014
Si fa presto a dire Viaggio...
Nell'ultimo messaggio ho
voluto infilare tre passioni dentro un ago e ho accennato un ricamo in
tema di viaggio. Poca roba per il vero...
Che, poi, si fa presto a dire viaggiare. Ma non è tutto così semplice e scontato.
Che, poi, si fa presto a dire viaggiare. Ma non è tutto così semplice e scontato.
Partirei, per esempio, da cosa per me non è viaggio.
Per me viaggiare non è arrivare in un luogo, depositare tutta la mia mercanzia in albergo (o peggio villaggio turistico) e poi cominciare il pellegrinaggio camera-spiaggia, spiaggia-ristorante, ristorante-camera, camera spiaggia e via così.
Per me viaggiare non è arrivare in un luogo, depositare tutta la mia mercanzia in albergo (o peggio villaggio turistico) e poi cominciare il pellegrinaggio camera-spiaggia, spiaggia-ristorante, ristorante-camera, camera spiaggia e via così.
No. Per me quella è una vacanza, qualcos'altro, comunque non è un Viaggio.
Forse
in realtà è solo questione di età. Quando avevo diciott'anni andava
benissimo. Oggi dopo due o tre giorni comincerei a chiedermi che diavolo
ci sto fermo in un posto già mandato a memoria (albergo, spiaggia,
lungomare) quando a pochi chilometri da lì c'è dell'altro. Andare
oltre. Proseguire (strano no? Che per dire di andare oltre si dica
seguire...).
La mia
concezione di viaggio si è sublimata già oltre gli "enta" nel primo
viaggio che ho fatto con Lei: 1200 chilometri in poco più di quattro
giorni lungo le strade dell'Andalusia infuocata.
Ho
scoperto che un viaggio per essere tale dev'essere itinerante. Ogni
notte una città diversa. Ogni giorno qualcosa di nuovo. E' fare le corse
per arrivare in tempo per il check-in, è scoprire la città con il
vestito della sera. E' riprendere la valigia, chiudere il bagagliaio e
dare gas.
Cordoba, Grenada, El Cabo de Gata, Almeria, Malaga.
Un
viaggio itinerante è senza dubbio un Viaggio. Se poi il viaggio
itinerante è durante la fase dell'innamoramento allora c'è di più. O,
meglio, non c'è di più.
Il viaggio itinerante è, poi, un incrocio pericoloso tra Via della preparazione e Corso dell'improvvisazione.
giovedì 5 giugno 2014
Leggere, scrivere, viaggiare!
Che è un po' come "Dire, fare, baciare...". La lettera ve la sto scrivendo, per il testamento invece preferirei rimandare.
In ogni caso non si tratta di penitenza, anzi. Per me queste attività, tutte estremamente piacevoli, sono intrecciate tra loro come le fibre di una corda.
Tra leggere e viaggiare c'è forse la liaison più scontata persino banale: un libro ti scorta fedele lungo qualsiasi itinerario.
Il treno è il compagno ideale di un buon libro: i paesaggi attraversati esaltano il sapore delle pagine inizialmente sbocconcellate e poi addentate con sempre maggiore voracità.
Dal Veneto all' Abruzzo, ad esempio, ho potuto gustare notevoli cambiamenti climatici - dal sole splendente al diluvio ritornando poi ad un pallido sole - attraversando gialle lande di margherite o distese verdi e marroni mentre le ironiche bollicine di "Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia" (di Giuseppe Rizzo - magari ne scriverò una recensione...) mi pizzicavano il naso.
Il mio occhio trottava libero sulle spiagge del Conero prima e abruzzesi poi. Prossima fermata Civitanova Marche, Porto Sant'Elpidio, Grottammare... Next Stop San Benedetto del Tronto.
Ma che c'entra il viaggiare con lo scrivere? In fin dei conti Emilio Salgari ha scritto ottanta (dicesi 80!) romanzi ambientati in paesi esotici (Malesia, Antille, Bermuda...) senza muoversi dall'Italia... Anzi addirittura sosteneva che scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli.
Al di là che, come avrete capito, per il sottoscritto TUTTO è collegato allo scrivere, cercherò di spiegarvelo molto brevemente.
Scrivere richiede di conoscere persone, cose e luoghi.
Viaggiare è una maniera deliziosa per soddisfare questa esigenza con un'unica azione.
Viaggiare offre infiniti accenti, aneddoti, persone, caratteri, paesi che attendono solo di essere trasferiti su un pezzo di carta.
Infine scrivere e leggere.
Leggere e scrivere.
Non esiste l'una senza l'altra.
Semplicemente.
Post Scrittum: per la cronaca Emilio Salgari non viaggiava, ma trascorreva ore e ore in biblioteca a documentarsi per scrivere i suoi romanzi.
Il mio occhio trottava libero sulle spiagge del Conero prima e abruzzesi poi. Prossima fermata Civitanova Marche, Porto Sant'Elpidio, Grottammare... Next Stop San Benedetto del Tronto.
Ma che c'entra il viaggiare con lo scrivere? In fin dei conti Emilio Salgari ha scritto ottanta (dicesi 80!) romanzi ambientati in paesi esotici (Malesia, Antille, Bermuda...) senza muoversi dall'Italia... Anzi addirittura sosteneva che scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli.
Al di là che, come avrete capito, per il sottoscritto TUTTO è collegato allo scrivere, cercherò di spiegarvelo molto brevemente.
Scrivere richiede di conoscere persone, cose e luoghi.
Viaggiare è una maniera deliziosa per soddisfare questa esigenza con un'unica azione.
Viaggiare offre infiniti accenti, aneddoti, persone, caratteri, paesi che attendono solo di essere trasferiti su un pezzo di carta.
Infine scrivere e leggere.
Leggere e scrivere.
Non esiste l'una senza l'altra.
Semplicemente.
Post Scrittum: per la cronaca Emilio Salgari non viaggiava, ma trascorreva ore e ore in biblioteca a documentarsi per scrivere i suoi romanzi.
mercoledì 14 maggio 2014
Le faremo sapere...
Albeggia.
Ti alzi dopo che ti sei rotolato di qua e di là su un letto insolitamente scomodo. Anima in pena hai edificato, paziente, ogni possibile scenario. Ogni imprevisto sposato con la sua soluzione.
Poi, esausto, ti alzi e cominci a prepararti con cura: ti lavi, ti radi, ti profumi e ti vesti elegante.
Dalla telefonata del selezionatore non è passato troppo tempo. Solo qualche giorno: quelli necessari a spostare qualche impegno o a far combinare la sua disponibilità, la tua possibilità e l’ansia, diventata improvvisamente padrona del tuo tempo.
“Mai arrivare in ritardo ad un colloquio” ti è sempre stato detto. Così, in anticipo di oltre mezz’ora, ti trovi a camminare, aria da scippatore alle prime armi, lungo le vie adiacenti all’indirizzo che hai studiato su internet prima e constatato su asfalto e catrame poi.
E’ caldo. E sale lo spread tra la temperatura che percepisci e quella segnalata dal cartello luminoso della pasticceria dove hai ingurgitato un caffè.
Finalmente sali. Ricapitoli cosa devi e cosa non devi fare.
Stretta di mano sicura, guarda negli occhi, non giochicchiare con i capelli, non tamburellare con le dita, fermo con il piede, gambe composte, mani lontane dalla Sua scrivania, niente risatine isteriche e …
“Buongiorno Signor ...”
Inizia.
Apnea e concentrazione.
Cosa fa, cosa cerca, come si vede, cosa le manca, perché cambia, mi racconti di lei …
Finito.
Sai che è quasi ineluttabile, però non vuoi che lo dica.
La proibiresti.
“Bene, adesso procederemo nella selezione e poi …”
Non la vuoi proprio sentire.
Se potessi ti tapperesti le orecchie e urleresti “Bababababababababa …”.
“… Le faremo sapere”.
Ecco.
Ti alzi dopo che ti sei rotolato di qua e di là su un letto insolitamente scomodo. Anima in pena hai edificato, paziente, ogni possibile scenario. Ogni imprevisto sposato con la sua soluzione.
Poi, esausto, ti alzi e cominci a prepararti con cura: ti lavi, ti radi, ti profumi e ti vesti elegante.
Dalla telefonata del selezionatore non è passato troppo tempo. Solo qualche giorno: quelli necessari a spostare qualche impegno o a far combinare la sua disponibilità, la tua possibilità e l’ansia, diventata improvvisamente padrona del tuo tempo.
“Mai arrivare in ritardo ad un colloquio” ti è sempre stato detto. Così, in anticipo di oltre mezz’ora, ti trovi a camminare, aria da scippatore alle prime armi, lungo le vie adiacenti all’indirizzo che hai studiato su internet prima e constatato su asfalto e catrame poi.
E’ caldo. E sale lo spread tra la temperatura che percepisci e quella segnalata dal cartello luminoso della pasticceria dove hai ingurgitato un caffè.
Finalmente sali. Ricapitoli cosa devi e cosa non devi fare.
Stretta di mano sicura, guarda negli occhi, non giochicchiare con i capelli, non tamburellare con le dita, fermo con il piede, gambe composte, mani lontane dalla Sua scrivania, niente risatine isteriche e …
“Buongiorno Signor ...”
Inizia.
Apnea e concentrazione.
Cosa fa, cosa cerca, come si vede, cosa le manca, perché cambia, mi racconti di lei …
Finito.
Sai che è quasi ineluttabile, però non vuoi che lo dica.
La proibiresti.
“Bene, adesso procederemo nella selezione e poi …”
Non la vuoi proprio sentire.
Se potessi ti tapperesti le orecchie e urleresti “Bababababababababa …”.
“… Le faremo sapere”.
Ecco.
lunedì 5 maggio 2014
Shock and Awe
«Chiamatemi Ismaele» (Herman Melville - Moby Dick).
«È cosa nota e universalmente riconosciuta che uno scapolo
in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie» (Jane
Austen - Orgoglio e pregiudizio).
«Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni
famiglia infelice è infelice a suo modo. » (Lev Tolstoj - Anna Karenina).
«Uno scrittore non dimentica mai la prima volta che accetta
qualche moneta o un elogio in cambio di una storia. Non dimentica mai la prima
volta che avverte nel sangue il dolce veleno della vanità e crede che, se
riuscirà a nascondere a tutti la sua mancanza di talento, il sogno della
letteratura potrà dargli un tetto sulla testa, un piatto caldo alla fine della
giornata e soprattutto quanto più desidera: il suo nome stampato su un
miserabile pezzo di carta che vivrà sicuramente più a lungo di lui. Uno
scrittore è condannato a ricordare quell'istante, perché a quel punto è già
perduto e la sua anima ha ormai un prezzo. » (Carlos Ruiz Zafón - Il gioco
dell’angelo)
Cosa hanno in comune questi testi?
lunedì 21 aprile 2014
Negativi di silenzio
Si tratta di paura. Di incapacità di affrontarlo. Di erubescenza sulle gote. O del lembo di pelle ove collo e spalle si conoscono.
Non ricordo come lo chiamano.
Zitto che mi viene.
Oh, ecco: collare della pudicizia.
Capisci?
Niente.
Amico mio, si tratta di reazione fisiologica ad un rimbrotto. Peggio se in pubblico.
Peggio se in pubblico e alla presenza di persone che ritieni importanti.
O, ancora, si tratta di terrore dei giudizi o di un giudizio.
Ricordi quella sentenza? Mi pare fosse di Abraham Lincoln.
Meglio tacere e passare per idiota che parlare e dissipare ogni dubbio.
Ecco. Si tratta anche di questo.
Pensi. Mediti. Rifletti ancora. Elabori. Rielabori. Ancora.
Fino a quando sei convinto che, tutto sommato, non dissiperai ogni dubbio.
Raccatti la determinazione nel pozzo del tuo essere e ti esprimi.
Ecco. Invece.
Affermazione dannatamente ovvia.
Banale.
Forse persino stupida.
A te non è mai capitato?
Non ricordo come lo chiamano.
Zitto che mi viene.
Oh, ecco: collare della pudicizia.
Capisci?
Niente.
Amico mio, si tratta di reazione fisiologica ad un rimbrotto. Peggio se in pubblico.
Peggio se in pubblico e alla presenza di persone che ritieni importanti.
O, ancora, si tratta di terrore dei giudizi o di un giudizio.
Ricordi quella sentenza? Mi pare fosse di Abraham Lincoln.
Meglio tacere e passare per idiota che parlare e dissipare ogni dubbio.
Ecco. Si tratta anche di questo.
Pensi. Mediti. Rifletti ancora. Elabori. Rielabori. Ancora.
Fino a quando sei convinto che, tutto sommato, non dissiperai ogni dubbio.
Raccatti la determinazione nel pozzo del tuo essere e ti esprimi.
Ecco. Invece.
Affermazione dannatamente ovvia.
Banale.
Forse persino stupida.
A te non è mai capitato?
domenica 6 aprile 2014
From "Cappuccetto Rosso" to "Gioco di Mano"
C’era
una volta un… lupo!
Ebbene
sì, cari bambini: che noia sempre i soliti personaggi, questa volta vi
racconterò di un lupo.
Non
era un lupo qualsiasi, anzi, un lupo così non si era proprio mai visto. Magro e
deboluccio. Tanto che Mamma Lupa non sapeva più che fare.
Aveva
provato in tutti i modi: gallina fresca. Niente. Costolette di agnello al
sangue. Niente. Capretto. Niente. Niente. Niente. “Sei la rovina della nostra
famiglia” gli diceva sempre. Un vero tormento.
Ma
bando alle ciance e vediamo cosa combina il nostro lupo.
Un
bel pomeriggio di primavera Ringhio stava saltellando allegramente nel bosco in
cerca di quadrifogli mentre, poco distante dal sentiero, camminava anche una
bambina tutta vestita di rosso con un cestello in mano.
“Ciao
Lupo, sono Cappuccetto Rosso” gli urlò quella.
Ringhio
fece un balzo di lato a bocca aperta…
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