domenica 12 ottobre 2014

La società dell' "Issimo"


Sono passati centinaia e centinaia di minuti dalla fine di Juventus-Roma (perdonatemelo, ma si tratta del  mio personale “attentato di Sarajevo”: non ho intenzione di ammorbarvi ancora con lo sport) e uno si aspetterebbe che piano piano il fuoco si spegnesse. Le braci lasciassero spazio alla cenere.
Invece, sono proseguiti strilli e strepiti, “era rigore non era rigore”, “era dentro era fuori area”, finché un avvocato, professore universitario, ex sottosegretario, persino, non ha dichiarato ad una trasmissione radiofonica qualcosa come “dopo ieri viene voglia di prendere il mitra”.
E poco importa che qualche minuto dopo abbia edulcorato il concetto in “mitra figurato”. Ormai, come una carta messa in tavola durante una partita di scopa quelle parole restano. Anzi, non solo restano, ma dimostrano come la nostra sia la “società delle iperboli”. La “società dell’issimo”.
Tutto è bellissimo. Straordinario. Incredibile. Pazzesco. Saltando a passo di canguro il reale significato di tali termini. Abbandonando il non credibile o il fuori dall’ordinario fino ad inventare nuove iperboli perché quelle esistenti non bastano più. E allora via con le composizioni artistiche come eccezionalmente straordinario (praticamente impossibile da realizzare?) o incredibilmente bello (altro che Adone). Uno scarso attaccamento alla realtà, una verità adornata ai limiti del barocco o imbruttita lambendo l’obbrobrio.
In ogni caso siamo produttori di una verità stiracchiata, di qua o di là. Non credo che in passato non accadesse (senza alcuna pretesa da storico o da filologo) altrimenti non ci spiegheremmo le molte leggende in cui le caratteristiche dei personaggi erano spesso assolutizzate. Semplificate oserei dire.
Il dubbio, però, è che le leggende così come le iperboli si adattino perfettamente (zac!) ad un popolo credulone, poco abituato ad esercitare lo spirito critico.
In poche parole tutt’altro che “issimo”.