lunedì 27 giugno 2016

E se non ci fosse ricascato?

"Schwazer ci risiamo". 
Quando ho letto questo titolo sul sito della Gazzetta dello Sport sono trasecolato. Alex Schwazer ci è ricascato. Capital letters. La dimensione dei caratteri a scrivere una sentenza.
La notizia oltre ad avermi sbalordito mi ha anche amareggiato. Sono consapevole che non sia la notizia peggiore che si possa leggere su un giornale, anzi, ma così è stato. Poi, me ne sono andato a dormire. Come per far sparire la notizia.
Il giorno dopo, in treno,  a mente fredda, mi sono chiesto come mai questa notizia mi avesse rattristato. E perché avesse già provocato tante reazioni ambivalenti (media e social ne sono invasi/invasati): da un lato chi già condannava senza appello l’atleta e, dall’altro, chi si chiedeva come potesse esserci ricascato dopo aver scelto come allenatore Sandro Donati, vessillo della lotta senza quartiere al doping.
Non credo che tali reazioni abbiano tanto a che fare con lo sport. O quanto meno non solo.
Credo che queste sensazioni abbiano più a che fare con l’animo umano. Con la buona fede. Con l’ideale, quello con la I maiuscola. Con il raggiro. Con il sentirsi derubati. Ecco perché probabilmente si sono mischiate rabbia e mestizia. Ecco perché si sono create subito due fazioni. L'unica cosa certa è che vi sia poco di chiaro nella vicenda (dalle bistecche ai tempi delle analisi, sino alle provette non anonime come dovrebbero, ma vi rimando agli articoli in fondo se vorrete approfondire). Non sono un esperto di analisi e controanalisi. Di steroidi anabolizzanti o ancora di spettrometrie di masse isotopiche. Non ho le competenze di un fisioterapista e rivendico la mia ignoranza in materia di fasce muscolari. Però credo nello Sport. Perché lo pratico. Perché lo seguo. Perché mi entusiasma ancora. Nonostante il mio amore vacilli (http://goo.gl/OyLjNG), nonostante gli scandali, i tranelli e le imboscate.
Tutto ciò ha a più che fare con l’essere umano. Con il suo animo. Con la fiducia che può o non può ispirare. Sulla fiducia che può o non può essere tradita.
E forse, in fin dei conti, il caso Schwazer ci ricorda ognuno di noi. O, ancora, è la voglia di una fiaba a lieto fine.
La voglia di credere nell’uomo che cade nel fango.
Che si sporca le mani nella melma.
Che macchia lo Sport.
Ma anche dell’uomo che si rialza dopo essere sprofondato nell'abisso.
Della possibilità di ricominciare. 
Della chance che ognuno di noi vorrebbe avere quando commette un grave errore. Di un tasto Rewind con cui, dopo aver pagato il fio, si possa riavvolgere il nastro della vita. Sportiva o meno poco importa.
Forse più che con lo sport la vicenda del marciatore di Racines riguarda tutti noi.
La redenzione. La voglia di pulire la maglia e rialzarsi.  
Il diritto ad una riabilitazione affinché la pena non sia eterna. 
La possibilità di premere ancora “Play”. Cominciare a risalire i gradini nonostante ci sia chi ti ricorda a gran voce che hai sbagliato, che hai tradito, che sarai sempre e soltanto “quello”. 
Come tu non fossi altro che la cristallizzazione del tradimento. L’istantanea perpetua dell’errore. 
Ecco, forse è per questo motivo che mi sta a cuore la vicenda.
Ed è per lo stesso motivo che mi auguro che Alex Schwazer ne esca pulito, senza ombra di dubbio.
Perché non si tratta di un atleta dopato in più o in meno sull'abaco delle prestazioni adulterate. 
Perché se invece fosse provata in maniera inconfutabile la ricaduta il tradimento rischierebbe di essere doppio.



Linkoteca


Ansa.it: Schwazer: "Possibile causa una bistecca"