domenica 3 maggio 2015

Asocial

Siamo tutti nello scompartimento del treno, pronti a farci trascinare verso lontani posti di lavoro o affollate aule universitarie. Anzi no. Ferma tutto.
Tira il freno d’emergenza!
Lo scompartimento non esiste più: è un ricordo stinto. E’ una manciata di fotogrammi di un film datato. Con i suoi sei posti, l’ottone dei portabagagli, il tavolino estraibile, il finestrino da contendersi, le foto sbiadite delle città e gli strapuntini in corridoio.
No. Oggi siamo in un ampio openspace. Un acquario in cui i pesci osservano la realtà da una boccia di vetro super-amoled della Samsung preservata da cover improbabile. A volte dalle orecchie scende un cavo bianco che si infila sotto la giacca, proprio vicino al cuore.
Colonna sonora personalizzata della nostra vita social.
Il dito scorre veloce da sinistra a destra per passare alla notifica successiva fino a che Facebook, Twitter e Whatsapp smettono di ricordarti che stanotte eri offline.
E’ la quarta volta che riprendi la lettura di quell’articolo che ti interessava tanto. Perennemente e inconsapevolmente disturbato dagli “amici in Facebook” (546, ma in continua crescita), parecchio diversi dagli “amici e basta". Iperteso da Whatsapp.
Ti duole il collo, si vede, lo muovi lentamente a sinistra e poi a destra. Lei ti è davanti, leva un’auricolare e si connette con la vita. Ti guarda e sorride. Poi, con tutta la sua timidezza a dipingerle le guance ti chiede, quasi sussurra, “Indolenzito? Fai sport?”.
Tu la guardi, stupito, disabituato.
Poi accenni “Sì…”.
Contagiato dal rossore. Perché non è così.
Niente sport ormai.
Troppi impegni, lo studio, gli amici …
Non dici altro.
Sai che se hai male al polso non è perché giochi a tennis. Sono tante ore di playstation. Il collo non ti duole perché sei un rugbista che smaltisce i placcaggi subiti. E’ solo smartphone. Notifiche, mail e …