lunedì 21 aprile 2014

Negativi di silenzio

Si tratta di paura. Di incapacità di affrontarlo. Di erubescenza sulle gote. O del lembo di pelle ove collo e spalle si conoscono.
Non ricordo come lo chiamano.
Zitto che mi viene.
Oh, ecco: collare della pudicizia.
Capisci?
Niente.
Amico mio, si tratta di reazione fisiologica ad un rimbrotto. Peggio se in pubblico.
Peggio se in pubblico e alla presenza di persone che ritieni importanti.
O, ancora, si tratta di terrore dei giudizi o di un giudizio.
Ricordi quella sentenza? Mi pare fosse di Abraham Lincoln.
Meglio tacere e passare per idiota che parlare e dissipare ogni dubbio.
Ecco. Si tratta anche di questo.
Pensi. Mediti. Rifletti ancora. Elabori. Rielabori. Ancora.
Fino a quando sei convinto che, tutto sommato, non dissiperai ogni dubbio.
Raccatti la determinazione nel pozzo del tuo essere e ti esprimi.
Ecco. Invece.
Affermazione dannatamente ovvia.
Banale.
Forse persino stupida.
A te non è mai capitato?

Forse no. Al dunque, tu vivi le situazioni di riflesso.
Te ne freghi. Ogni cosa ti scivola addosso.
Come si trattasse di gocce d'acqua.
Tu non tenti di abbatterlo. Alla fine non ti tocca. Così come questo dialogo.
A quelli come me, invece, serve un piccone.
Spesso camuffato da parola inutile.
Sterile.
Interrogativa anche se sprovvista di curiosità per la risposta spesso inascoltata.
Non a caso io straparlo e tu taci.
Possibile?
Io salto dai problemi sul lavoro alle relazioni sentimentali navigando tra i deliri esistenziali... E tu?
E tu?
Niente.
Te ne stai impassibile. Incollato alla parete.
Forse sono io che pretendo l'impossibile.
Ma ho capito. Ci ho messo un po', ma ho capito.
Questa è l'ultima volta che mi esibisco in un discorso davanti a te.
Con me hai chiuso.
Torni ad essere quello che aiuta a radermi.

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