giovedì 28 dicembre 2017

2017. Chiacchiere da bar


Probabilmente, “in altre faccende affaccendato”, non sono riuscito a cogliere l'attimo in cui da buoni si è diventati buonisti. Il momento esatto in cui tutto è stato sdoganato. E nel nome del politicamente scorretto si è varcato ogni confine. Automaticamente il politically correct è diventato un disvalore. Sinonimo di ipocrisia e falsità. E le parole, spesso molto pesanti, vengono lanciate come aeroplanini di carta nell’aria.    
È nata così questa intervista semi-seria o seri-scema ad un uomo comune (lo chiameremo Mario Rossi) davanti ad un “bianchetto” in un bar.

JULIO: «Perché ce l’hai con le persone di colore?»
MARIO ROSSI: «Non ce l’ho con loro, mica colpa mia se quelli sono negri. E chiamali negri, perdio. Sono stufo di avere a che fare sempre con questi radical chic. Con questa sinistra al caviale.»
JULIO: «Ma, veramente… io non sono di sinistra…»
MARIO ROSSI: “E allora prendila una benedetta decisione. Sempre lì a vivacchiare in un centro che ci ha portato alla rovina. Io sono per Putin. Per Salvini. Per la patria. Per l’autonomia del Veneto. Anzi… per l’indipendenza, ma mi accontento dell’autonomia, per ora…»
JULIO: «E la democrazia?»
MARIO ROSSI: «Sopravvalutata! E poi ti sembra democrazia questa?»
JULIO: «Beh sì, non stai dicendo quello che pensi? Ma torniamo ai… agli immigrati: e se muoiono nei barconi?»
MARIO ROSSI: «Negri. Si dice negri.»
JULIO: «ma mica è detto che siano tutti di colore…»
MARIO ROSSI: «Non importa. E, comunque, chi se ne frega. Uno in meno. Cento in meno. Che poi mica possiamo sfamarli tutti. 40 euro al giorno. Li dessero a me 40 euro al giorno. Se non parti non muori. Aiutiamoli là. O che almeno non li si veda. Checcavolo, te ne vai a Lampedusa e ti tocca vedere sti poveracci. Forse è questo il problema: noi vediamo loro. E loro vedono noi.»
JULIO: «Ma sono esseri umani come te e me, no? Non ti fanno pena quei bambini morti in mare? Quelle donne incinte?»
MARIO ROSSI: «Hanno fatto la loro scelta consapevoli dei rischi e qui sono già troppi. E poi rubano. Ci tolgono il lavoro. Chi delinque deve tornare a casa sua…»
JULIO: «E gli italiani che delinquono?»
MARIO ROSSI: «beh, sono nati qui…»
JULIO: «quindi è solo questione di culo?»
MARIO ROSSI: «che c’entra?»
JULIO: «E i rom?»
MARIO ROSSI: «Tutti ladri, aveva fatto bene lo Zio Adolf.»
JULIO: «Scusa, ma stai parlando di Hitler?!»
MARIO ROSSI: «E di chi, se no?»
JULIO: «Capisco… e gli zingari?»
MARIO ROSSI: «Sono rom, no? È uguale, almeno credo. Tutta la stessa razza. Rubano entrambi.»
JULIO: «Ma quanti sono in Italia?»
MARIO ROSSI: «Troppi.»
JULIO: «Ok, ma quanti?»
MARIO ROSSI: «Almeno 2 milioni.»
JULIO: «Sicuro[1]
MARIO ROSSI: «Beh, no, mi pare di averlo letto su Facebook, ma sono troppi comunque.»
JULIO: «E gli omosessuali?»
MARIO ROSSI: «I froci? Sono una lobby potentissima. E cosa vogliono poi? Che poi la smettano di esibire. Mica io vado in giro a mostrare le mie cose…»
JULIO «No, magari tu no. Però abbiamo assistito alla prima scopata in diretta tv.»
MARIO ROSSI: «Bah, cosa ha fatto di male una sana scopata. Sti froci, invece... Che, poi, mica ce l’ho con loro. Però non devono far passare che sono normali. Noi siamo quelli normali.»
JULIO: «Non fa una grinza. Quindi loro sono quelli “anormali”?»
MARIO ROSSI: «Naturalmente. Che poi, io ne ho un sacco di amici gay: vestono da Dio e sono di una sensibilità pazzesca. Però se si tratta di matrimonio e di figli, no eh? Come quello là, Vendola...»
JULIO: «Tu sei cattolico?»
MARIO ROSSI: «Certo!»
JULIO: «Sposato?»
MARIO ROSSI: «Separato. Ora convivo.»
JULIO: «Figli?»
MARIO ROSSI: «Due, stanno un po’ con me e la mia compagna e un po’ con la madre e il suo nuovo compagno.»
JULIO: «Come mai vi siete separati?»
MARIO ROSSI: «L’ho beccata con un altro, sta zoccola.»
JULIO: «E tu non l’hai mai tradita?»
MARIO ROSSI: «Beh, sai che l’uomo è cacciatore…»
JULIO: «Cosa pensi dell’Islam?»
MARIO ROSSI: «Bisogna rimandarli a casa tutti sti bastardi che fanno attentati. Bastardi Islamici!»
JULIO: «Tutti?»
MARIO ROSSI: «Certo, mica si vogliono integrare, via, via!»
JULIO: «Lo sai come ci vedono all’estero?»
MARIO ROSSI: «Spaghetti, pizza, mafia, mandolino?»
JULIO: «Esatto!»
MARIO ROSSI: «Che stupida generalizzazione!»
JULIO: «Ma abbiamo importato la mafia negli Stati Uniti…»
MARIO ROSSI: «E allora? Sempre a sparare sul vostro paese voi della sinistra con il portafoglio a destra.»
JULIO: «Ti ho già detto che non sono di sinistra.»
MARIO ROSSI: «Solo perché ti vergogni e non lo dici. E poi stai con checche, negri e zingari. Basta e avanza.»
JULIO: «E i tedeschi?»   
MARIO ROSSI: «Stanno riconquistando l’Europa. Stavolta non militarmente. Che poi, pure sull’Europa ci sarebbe da dire…»
JULIO: «Cioè?»
MARIO ROSSI: «Bisogna uscire subito dall’euro. E anche dall’Europa. Viva la Catalogna.»
JULIO: «E la Merkel?»
MARIO ROSSI: «Parli della culona inchiavabile?»
JULIO: «Non trovi sia un po’ fuori luogo che un premier l’abbia definita così?»
MARIO ROSSI: «No! Finalmente uno che dice pane al pane e vino al vino. Che, poi, non ha forse ragione?»
JULIO: «Beh, personalmente non credo rilevi. Il punto è se sia o no una buona Premier, no?»
MARIO ROSSI: «Ah, ecco, pure boldriniano. Ci mancava…»
JULIO: «Perché non ti piace la Boldrini?»
MARIO ROSSI: «Quella deficiente? Ma se è tutta impegnata a discutere se devo mettere una “o” oppure una “a” alla fine delle parole…  per non parlare del femminicidio… E, in più, ci ha riempito di profughi!»
JULIO: «In che senso?»
MARIO ROSSI: «Non li leggi i giornali?»
JULIO: «Veramente sì…»
MARIO ROSSI: «E allora saprai che era a capo di un’organizzazione…»
JULIO: «E…»
MARIO ROSSI: «Beh, vatti a leggere la storia!!»
JULIO: «Capisco.»
MARIO ROSSI: «Ora mi hai scocciato, fine, stop!»
JULIO: «E la legittima difesa? Ieri hanno condannato il macellaio che ha sparato al ladro che stava scappando con la sua auto, che ne pensi?»
MARIO ROSSI: «Mmmmmmmmmmmm… vuoi proprio farmi salire il nazismo dentro! Te la dico nella mia lingua “go caro”!»
JULIO: «Stava scappando, gli ha sparato alla schiena e poi lo ha buttato in un fosso...»
MARIO ROSSI: «Tutti tecnicismi da azzeccagarbugli. Stava rubando ed è morto. Ha fatto bene il macellaio. Mi vergogno di un paese in cui viene anche messo sotto processo. Tutto il resto son chiacchiere…»
JULIO: «Ma ti rendi conto che così facendo tu potresti uccidere qualsiasi persona dicendo che è stata legittima difesa?»
MARIO ROSSI: «Dai dai… smettila con ste boiate! La gente è stufa ed incazzata!»
E si allontana.
Già, la “ggente” è stufa ed incazzata.




[1] Secondo le stime si attestano tra i 150.000 e 200.000. 

lunedì 20 novembre 2017

Vita effimera

A volte non comprendi come tutto sia così effimero.
Troppo impegnato a rincorrere aspirazioni e ambizioni, miglioramenti, progresso, evoluzione.
Non ti rendi conto che, lungo la strada, hai smarrito il presente.
L’essenza della vita che stai attraversando.
Ti sei perso un pezzo.
Hai smarrito la bellezza di un sorriso finché eri incollato ai pixel di uno schermo.
Hai dimenticato come si fa ad ascoltare un silenzio.
Hai seppellito sotto cumuli di chiacchiere piccoli miracoli quotidiani.
Non hai goduto del profumo di una pietanza pur di socializzarla.
Hai barattato il sapore di una telefonata con l’asettica insignificanza di un messaggio.
Guardati attorno. E stupisciti.
Stupisciti perché il sole sorge.
Stupisciti perché il vento ti scompiglia i capelli.
Stupisciti perché una persona è gentile con te.
Stupisciti perché un usignolo canta in una sera d’estate.
Stupisciti perché il cielo è nero, colmo di uccelli pronti alla migrazione.
Stupisciti perché sei stordito da grilli e cicale.
Godi di un tramonto dalle tinte pastello.
Sorseggia la vita come fosse un vino pregiato.
Gustane l’odore.
Percepiscine l’umore sul palato dell’essere.
Vivi.

lunedì 1 maggio 2017

La vera storia di Così

Mi hanno mandato questa storiella e siccome mi ha divertito, ma anche fatto riflettere ho deciso di pubblicarla.

Questa è la storia di Così.
Così è uno che ci prova. Così si definirebbe così. La giungla di problemi, situazioni, questioni, sentimenti, umori, relazioni, Così la affronta dando il meglio di sé stesso. Eppure, ogni volta, pensa che non sia abbastanza. Che si possa fare meglio di Così. Che si possa essere meglio di Così. E, giorno dopo giorno, invece che Così vorrebbe essere Colà.
Colà sa sempre cosa dire. Ha sempre la battuta pronta. Rintuzza con garbo. Se sbaglia, e succede di rado, cade sempre in piedi. Dalle situazioni intricate esce da trionfatore: la sua immagine rafforzata e non sbiadita.
Così, invece, si sente spesso in balia di chi lo attacca. Così sente che ciò che dice è sbagliato: talvolta inappropriato, altre volte poco incisivo, generalmente non riesce a trovare mai le parole giuste. C’è sempre una ragione per non essere Così. E c’è un’infinità di ragioni per voler essere Colà.
Se Così commette anche un minimo errore - o quello che lui crede essere un errore - porta in faccia i segni dell’autocondanna. E’ Così stesso a travestirsi da inquisitore, giudice e persino boia. Colà, invece, è abile nello sviare: non si attribuirebbe mai una colpa, ci penseranno già gli altri a farlo.
Così è insicuro, Colà ha certezze che Così invidia. Così rimugina notte e giorno sulle stesse cose. Colà è sereno. Dorme come un bimbo. E’ come se avesse una corazza che lo difende.
Così vorrebbe essere Colà. Ma in realtà non lo conosce così bene. Solo gli sembra perfetto. Perfetto così. Un Così perfetto.
Sì, Colà è un Così perfetto.
Colà è un Così senza gli innumerevoli difetti che egli si attribuisce.
Un giorno, Così, chissà perché, racconta ad una persona di Colà.
E più racconta, più ne parla, più gli sembra incredibile ed inverosimile quello che sta dicendo. 
Gli viene quasi da ridere di Così e di Colà. 
Ride prima timidamente e poi di gusto del suo voler essere Colà.
Comincia a pensare che Colà non esista. E' solo un'intuizione all'inizio.
Poi, più ne parla più capisce che Colà è solo la sommatoria costruita a tavolino di ciò che gli manca o di ciò che vorrebbe essere.
Un mosaico di virtù.
Ed è in quel preciso momento che Così decide di uccidere Colà.  
Ha capito che non potrà mai essere un Così perfetto, ma magari, lavorandoci un po’, questo sì, un po’ meglio di Così.



domenica 19 febbraio 2017

Avrei voluto, ma...

Scendo dal treno, intorno all’una e mezza a Venezia Santa Lucia, stazione ferroviaria che, inopinatamente, una conoscente (no, giuro, non sto prendendo le distanze, è davvero una conoscente!), leggendo il cartello Venezia S. L., ha chiamato “Venezia sulla Laguna” scatenando una certa ilarità.
Smontando dal gradino mi accorgo che sul treno c’era una mandria di ragazzini. Fortunatamente non li ho incrociati nella mia carrozza: non avevo davvero voglia di ormoni impazziti come la maionese, selfie come se piovesse o risate e urla sopra soglia di tollerabilità. Devo prendere atto che sto irrimediabilmente diventando vecchio!
Li lascio sfilare e mi accodo agli ultimi del loro assembramento e li mantengo, in maniera sana, a poco meno di un metro di distanza.
Come spesso mi accade osservo, guardo, ascolto. Mi sembra di essere un sociologo del trasporto pubblico, in realtà, molto più banalmente, sono curioso.
In particolare, osservo gli ultimi tre del gruppo.
Ridono e scherzano ad alta voce. Ce n’è uno più alto degli altri che sembra essere il leader. Jeans attillati con l’immancabile risvoltino, niente calzini, giubbotto con cappuccio per temperature artiche, capelli cortissimi e, cosa che mi stupisce non poco, apparecchio ai denti. Ha la barba, deve essere cosa recente, ma tanto basta per renderlo più adulto. Più grande. Più leader.
Gli altri due sono a rimorchio. Entrambi assomigliano a quei cuccioli che corrono un po’ dinoccolati, magari in diagonale, con le orecchie che vanno di qua e di là.
Uno dei due, vestito grosso modo come il capo, sta chiacchierando e sghignazzando: deve essere la sensazione di libertà e di briglie sciolte che solo una gita scolastica sa dare, anche se si è ormai al ritorno. Dal treno è scesa molta gente e devo stare attento a dove metto i piedi: ci sono, infatti, le classiche fermate da turista (visionare la guida, di già?!) o da lavoratore impaziente (accensione sigaretta appena posato piede sul marciapiede).
Sento che uno dei tre, guardando gli altri due, mentre cammina, dice: «Hai visto che figata...». E’ voltato verso sinistra e muove le mani, descrive, racconta, mi sembra entusiasta. E’ un attimo. Mentre cammina, parla, ride, pensa, guarda in faccia i suoi interlocutori. Non si accorge, però, della panchina che giace sul binario da un discreto numero di anni e ci sbatte contro. Sta camminando lentamente per cui la caduta non comporta un drammatico rotolare sopra la medesima panchina di marmo modello stuntman. Deve, comunque, inventarsi un goffo movimento che gli consenta di non sbatterci un ginocchio. Quindi inarca il corpo all’indietro come a diventare una C umana. L’effetto è ancora più buffo e non passa nemmeno un secondo che i suoi due compagni iniziano a ridere a crepapelle prendendolo in giro. Non passa un istante e il ragazzino già diventa rosso in viso. E’ evidentemente imbarazzato. Le risate non smettono. In particolare, è il capo, quello che immagino, non senza una punta di cattiveria, il classico ripetente, a ridere più forte, a dare il ritmo. Ad un certo punto ho paura si soffochi o cada in preda alle convulsioni. Sbatte la mano destra su una colonna più volte, mi attendo si rotoli a terra e poi il cliché è completo.
Il distratto è ancora più rosso, dal rosso è passato velocemente al viola invocando un po’ di clemenza. “Vabbè  dai...”. Il barbuto non smette e dà di gomito all’altro.
E’ proprio in quel preciso istante che un desiderio quasi insopprimibile esplode in me.